sabato 9 maggio 2009

CI VUOLE ORECCHIO

Dopodomani sera sarei voluto andare a sentire Enzo Jannacci dal vivo al Sistina. Vado sul sito del teatro per comprare i biglietti e leggo uno scarnissimo comunicato che dice che il concerto è spostato ad ottobre. Ho una brutta sensazione, che spero sia infondata ed accolta dall'interessato, se mai dovesse leggere queste righe, con una risata delle sue unita a una ricca grattatina di cabbasisi.
Jannacci l'ho visto in concerto numerose volte, a partire dai primi anni 80. Allora girava l'Italia con un suo teatro tenda, che smontavano e rimontavano ogni giorno come un circo. A Reggio ebbe problemi con gli organizzatori, che forse non intendevano pagarlo quanto promesso per via della scarsa vendita di biglietti, non so, resta il fatto che l'attesa di noi pubblico fu molto più lunga dell'ordinario, ma alla fine Enzo usci, blaterò qualcosa di incomprensibile sulla sua lite dietro le quinte, finendo con un "che mi frega dei soldi, io canto lo stesso!". Cantò per quasi tre ore, con rabbia, distruggendo quasi un piano, e facendoci delirare. Gratis.
Questo è l'uomo. Chi vuole si legga la lunga biografia su wikipedia. Cardiochirurgo dell'equipe di Barnard, sempre controcorrente, artista eclettico. Il grande pubblico lo conosce come precursore del nonsense e del demenziale. Ma Enzo è pianista vero e grande inventore di melodie. Come viene ampiamente dimostrato ogni volta che una sua canzone viene interpretata da un altro, a cominciare da De Andrè con Via del campo. Solo che quando canta lui, come quando parla, tutto viene destrutturato. E' Picasso, non Donatello. Ma è Picasso, non uno dei tanti suoi epigoni astrattisti per non sapere disegnare una figura.
Come lui, il suo vero erede. Che non è i tanti che uno direbbe: Bandabardò, Elio e le storie tese, Paolo Rossi. Sapete, quando uno che ha orecchio ascolta un qualsiasi artista, riesce a capire cosa quell'artista ascoltava "da piccolo", cosa cioè ne ha influenzato lo stile. Parlo non solo dell'esecuzione, ma anche della scrittura musicale: ad esempio, la Consoli deve molto a Dolores O'Riordan dei Cranberries, come Giorgia a Witney Houston, Lucio Dalla a James Brown, De Gregori e Mark Knopfler dei Dire Straits a Bob Dylan, Vecchioni a Neil Young, Battiato ai Pink Floyd, Venditti a Cat Stevens, Nek e i Maroon5 a Sting, Gazzè ai Police, e così via, potrei continuare parecchio. Ebbene, il "figlio naturale" di Enzo è un altro che passa per altro (nel suo caso, rocker) ma in realtà è un grande creatore di melodie: Vasco Rossi. Vasco potrebbe cantare tutto il repertorio di Jannacci, pensateci. E viceversa. Magari facessero un tour, o anche solo un concerto, assieme...
Il capolavoro assoluto di Jannacci è l'album Quelli che... del 1975, scritto a quattro mani con il compianto Beppe Viola, giornalista sportivo dall'ironia graffiante. Il brano omonimo, notissimo per essere stato anche sigla oltre che ispiratore del titolo di un programma calcistico Rai, ha per sua natura infinite versioni; qui postiamo quella originale, che inizia con un parlato dal titolo La televisiùn, che recita profeticamente:
la televisiùn la ga una forsa da liùn
la televisiùn la ga paura de nisùn
la televisiùn la te ndurmenta come un cujùn
bah!

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