martedì 7 luglio 2009

MA CHE BEL TITOLO!

Condivido con gli amici di Stostretto e Nobili di Contrappunti (tra gli altri) l'avversione a un progetto, quello del Ponte sullo Stretto, che costituisce uno spreco di risorse così ingenti che impiegate diversamente non solo la stessa area ma forse anche le intere Calabria e Sicilia potrebbero vedere risolti molti dei loro problemi. Non solo, ma la sua realizzazione così com'è stata prevista sarebbe: uno sfacelo ambientale per le due sponde, un'immensa regalìa alle mafie, un assurdo in tema di geografia politica ed economica e ingegneria dei trasporti (attirerebbe traffico gommato anzichè incentivare lo spostamento di quello esistente sull'acqua), un inutile anello forte in una catena di anelli deboli dal punto di vista stradale e ferroviario, un cantiere eterno conoscendo i nostri polli, un cumulo di macerie al prossimo big one visto l'azzardo del tipo di progetto scelto e lo scarso margine di antisismicità adottato per necessità (con un margine serio i costi sarebbero saliti al punto da renderlo praticamente irrealizzabile, il ponte sospeso a campata unica).
Per questo motivo sono stato colpito innanzitutto dal titolo di questo libro in corso di pubblicazione: Sotto il ponte che non si farà, di Matteo Bottari, edito dalla Biblioteca del Cenide. Il Cenide, e qui lo si spiega bene, è proprio quella punta di continente che si propende verso la Sicilia a suggerire da millenni collegamenti più o meno fissi e mitologie più o meno fondate. La casa editrice omonima è una di quelle iniziative che tanti di noi meridionali emigrati sognano di fare per pagare alla propria coscienza il tributo di avere abbandonato la propria Terra Madre, debito che sentiamo tutti nonostante i fatti dicano che è lei la Medea dalle cui grinfie siamo fuggiti, e che però solo alcuni di noi riescono a realizzare: uno di questi è Domenico Cogliandro, architetto a Palermo ma da sempre e per sempre "cenidico" (si dirà così?). Il libro, di cui ho prenotato una copia (potete fare altrettanto scrivendo a infos@cenide.net) e che recensirò solo dopo averlo letto (ognuno ha i suoi vizi...), promette bene, e non solo per il titolo ben augurale: gli stralci anticipati promettono bene sia per stile che per argomenti, e in ogni caso si tratta della prima opera di narrativa ambientata sotto questi enormi pilastri, con in più il contributo di una evidentemente bravissima fotografa e del succitato architetto autoctono il cui punto di vista non vedo l'ora di conoscere.

1 commento:

Unknown ha detto...

Cugliandro, facci caso. Il titolo la dice lunga. Da oltre 50 anni la pantomima va avanti, un passo, e indietro, tre passi. E siccome non esiste un punto di vista condiviso (gli opposti si sono sempre scontrati e non hanno mai cercato un punto limite sul quale incontrarsi) non verrà mai risolta la dicotomia. Il ponte guarda al futuro pur non avendo i mezzi per esserci dentro, l'idea proviene dal passato ma la memoria degli umani è sempre più limitata e meno storica. Come se ne esce? Con la narrazione dei luoghi. Ci sono passi mitici che hanno fotografato lo Stretto più di cento progetti fatui: pensa ad Odisseo, pensa a Ndrja Cambrìa, e allo stesso Colapesce. Sulla narrazione mitica siamo tutti d'accordo, per questo le storie vanno narrate: anche quelle di un'inezia strutturale come questa...

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