giovedì 18 febbraio 2010

CARO NEMICO TI SCRIVO

Pochi giorni fa, dopo il Giorno della Memoria a commemorare le vittime dell'Olocausto, si è celebrato il molto meno sentito, per quanto battuto dal mainstream berlusconiano, Giorno del Ricordo delle vittime delle foibe. Si tratta solo di uno dei tributi che dobbiamo pagare allo sdoganamento della destra ex-fascista di questi ultimi quindici anni, nel quadro di un tentativo spesso maldestro di riscrittura della Storia. Non è il peggiore: molto peggio sono gli appelli ad una parificazione impossibile tra partigiani e repubblichini, fatti anche dallo scranno più alto dello Stato sotto l'etichetta "i morti sono tutti uguali" - e meno male che i pochi rimasti sono troppo vecchi per costituire un problema di bilancio le pensioni di guerra....
Attenzione, non sto negando le tragedie individuali e familiari degli italiani vittime delle foibe, ma soltanto la rilettura strumentale e manichea che si tenta di dare di quel contesto storico. A cominciare dalle proporzioni, gonfiate ad ogni passaggio, sulle quali nemmeno ci passo perchè a mio parere non cambia molto il peso della tragedia se siano stati diecimila o mille, e parimenti sono ridicoli quelli che credono di ridimensionare l'olocausto ebraico ricontando i morti ad esso collegabili con criteri restrittivi fino a farlo scendere sotto il milione, come se aver ucciso 900mila innocenti fosse meno grave di averne uccisi 6 milioni. No: giocare con i numeri è mistificatorio sia se il gioco è al rialzo che se è al ribasso, e non mi ci presto: resto al significato storico. Che incontrovertibilmente assegna le due tragedie, gestite invece appositamente in parallelo dalla propaganda di regime, a due categorie diverse: l'una ai genocidi, l'altra ai purtroppo ordinari accadimenti di guerra.
Della stessa famiglia dell'Olocausto è, ad esempio, lo sterminio dei pellerossa da parte degli statunitensi, persino molto più pesante per entità numerica. Oppure quello degli aborigeni in Australia, seppur meno cruento e molto meno rappresentato. A proposito: è solo dagli anni 70 che si sono cominciati a vedere dei film in cui si intravede la verità storica, fino ad allora un secolo di propaganda ci ha fatto entrare nella mente la figura del cowboy buono e dell'indiano cattivo, tanto da rappresentare degli stereotipi per le nostre maschere di carnevale: ecco un ottimo esempio di come volendo si riesce a rigirare le cose - immaginate cosa avremmo studiato sui libri e visto nei film se Hitler avesse vinto la guerra, adesso.
Della stessa famiglia delle Foibe invece sono infiniti episodi intorno alle guerre, specie alle guerre moderne ma non esclusivamente. Ma volendo restringere il campo all'area in questione, è difficile, a voler essere davvero obiettivi, stabilire se ci sono stati più italiani morti, gettati nelle foibe (da vivi o da morti) o meno, per mano slava o viceversa. Possiamo rifare i conti, se vogliamo, ma il fatto stesso che sia opinabile restituisce la faccenda al suo alveo: fatti di guerra, odiosi come tutti quelli che avvengono attorno a una guerra. Non ci sono responsabili, allora? Se proprio ci servono, l'unico criterio per identificarli è riuscire a stabilire CHI, ha iniziato la guerra. Non sempre ci si riesce, ma guardacaso nei due episodi che stiamo analizzando si: è stato Hitler, per quanto lui facesse risalire le sue mire al disastroso trattato di pace che mise la Germania in ginocchio al termine della prima guerra mondiale, ad iniziare la seconda; ed è stato Mussolini, per quanto inserito nel processo storico dell'unità d'Italia ai danni da quelle parti dell'impero austro-ungarico, ad appropriarsi di pezzi di Croazia e Slovenia nel quadro dell'invasione tedesca della Jugoslavia (Stato arlecchino a sua volta frutto del "genio" diplomatico occidentale dopo la disfatta e dissoluzione dell'impero ottomano).
Una volta che accettiamo il fatto storico che quella guerra fu promossa da noi, possiamo piangere tutte le vittime e stigmatizzare tutte le crudeltà inutili, comprese quelle di cui eventualmente e probabilmente si sono macchiati i partigiani jugoslavi quando si sono ripresi i territori. Ma comprese anche quelle commesse da noi prima, con la complicità della Chiesa cattolica, nelle stesse zone e nello Stato-fantoccio che instaurammo, noi e i tedeschi, in Croazia.
A proposito di partigiani, torniamo in Italia. Perchè un'altra tesi di moda è quella secondo cui anche tra da parte loro furono commesse crudeltà più o meno inutili. La risposta è la stessa: certo, è probabile. Quando si è in guerra succede, tenuto conto che la percentuale di "teste calde" (o per meglio dire persone che perdono il senso della misura e non si "contengono" quando è in corso quel crogiuolo di tragedie personali e sociali che ogni guerra è) è più o meno sempre la stessa presso chiunque in qualunque tempo. Quindi, di nuovo, di tutte le orribili dinamiche che si innescano dentro una guerra il responsabile - se c'è - è chi l'ha voluta cercata avviata: nella fattispecie, il nazifascismo. Sono andato quindi a vedere L'uomo che verrà di Giorgio Diritti con un minimo di pregiudizio negativo, temendo insomma di trovarmi di fronte a una paraculata cerchiobottista stile Renzo Martinelli. Niente di tutto questo, non solo: il film evita sia l'agiografia partigiana che il revisionismo pansiano, semplicemente ponendosi in un punto di vista al tempo stesso più basso e più alto, lo sguardo in semisoggettiva dei protagonisti e in particolare di una bambina muta. Sceneggiato bene e interpretato meglio (eccetto che dalla stucchevole Alba Rohrwacher, ormai onnipresente nel cinema d'autore, secondo me inspiegabilmente ma mi sbaglierò io), è un meccanismo perfetto che riesce nel suo scopo: portarti con se nelle campagne emiliane del 44, e colpirti all'addome prima con una gragniuola di pugni poi con una raffica di mitra. Andatelo a vedere, se nella vostra città arriva e se fate a tempo, che i film belli in Italia trovano sempre peggiore distribuzione.
Il titolo del film a me sembra parafrasato da una splendida vecchia canzone di Lucio Dalla, non so forse è il dialetto bolognese in cui è girato ad avermi dato questa suggestione, e allora io faccio lo stesso con questo pezzo, perchè ogni guerra è finita non quando il vincitore scrive la storia a suo piacimento o lo sconfitto riemerge e la riscrive a sua volta, ma quando puoi parlare col tuo ex nemico con le stesse parole della stessa storia. I tedeschi, forse in quanto più avvezzi per formazione culturale/religiosa ad assumersele, non hanno mai tentato di sottrarsi alle proprie responsabilità, e infatti possono guardare negli occhi gli ebrei e tutti gli altri popoli vittime della loro deriva hitleriana. Noi, stiamo ancora al punto che i comunisti cattivi ci hanno buttato nelle foibe, che come colonialisti noi eravamo buoni, che la resistenza popolare ai piemontesi era brigantaggio, eccetera. Chissà se cresceremo mai.

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