mercoledì 17 marzo 2010

SCUOLA E RIPRODUZIONE...

...IN UNA RICERCA SUI VALORI A REGGIO CALABRIA. Si chiamava così, ho appena controllato, la mia tesi di laurea in Sociologia delle Comunicazioni, anno accademico 1984/85, Università degli Studi di Messina. Mi è tornata in mente dopo tutto questo tempo quando ho visto questo articolo su Repubblica. L'ho scorsa rapidamente, è dattiloscritta e i grafici sono disegnati a mano, come a mano erano fatti tutti i calcoli statistici, una montagna di fogli alta così: Bill Gates ai tempi era ancora solo uno studente geniale e l'unico "computer" richiedeva una fila di mesi all'università. Ebbene, a rileggerla c'è da rabbrividire: se qualcosa è cambiato, è in peggio. Don Milani è vissuto invano.
Uno dei principali compiti dell'istruzione pubblica era proprio quello di rango costituzionale di "rimuovere gli ostacoli" all'uguaglianza delle opportunità (il famoso articolo 3). Da quando io giovanissimo giravo per le scuole reggine con un questionario che accertasse quanto importasse a quei ragazzi di capire com'era la società in cui vivevano per cercare di migliorarla, e scoprivo che paradossalmente i soli che ne avevano qualche voglia erano proprio quelli che non ne avevano interesse, il figlio di medico che sarebbe diventato medico eccetera, sono stati fatti pochi passi avanti e parecchi indietro. Il principale dei quali, previsto nel piano di Gelli, nasceva proprio in quegli anni con i network televisivi commerciali di uno sconosciuto self-made-man della provincia milanese. Che era mica tanto self-made, si sarebbe scoperto dopo, e ancora oggi troppi lo ignorano. La televisione ha infatti affiancato la scuola come strumento di riproduzione sociale e piano piano le ha tolto lo scettro di strumento principe. Poi è successo di peggio: poichè negli anni la classe docente bene o male si è rinnovata, e dentro ci sono finiti (più o meno precari) anche tanti individui di buona volontà e i cui studi si trovavano a valle della situazione dei tempi della mia tesi, la scuola pubblica, sia pure a macchia di leopardo, sia pure con infiniti problemi, ha tentato di dismettere la funzione riproduttiva in favore di un ruolo nella formazione di coscienze individuali autonome. E mano mano che questo succedeva, da un lato la scuola pubblica stessa veniva sempre più (e per colpa e per dolo, tra riformismi velleitari ed effimeri e favoreggiamenti - incostituzionali - alle scuole private massimamente cattoliche) svuotata di risorse economiche strutturali e umane (da ultimo dalla Gelmini), dall'altro la televisione acquistava potere nella determinazione della scala dei valori degli individui sottoponendoli fin da piccoli a un bombardamento emotivo possente e incessante. Il risultato in termini di riproduzione sociale è esponenziale rispetto a quanto prima si otteneva con la sola scuola: generazioni intere di elettori crescono nel totale disprezzo della politica (che per altre strade si fa sì che sia peraltro largamente meritato) e nell'adesione passiva ai sistemi valoriali voluti da chi tiene le redini. Basta guardare una qualsiasi delle trasmissioni che vanno per la maggiore, dai reality ai talent-show, dai quiz per cerebrolesi infarciti di vallette seminude alle trasmissioni calcistiche, per toccare con mano quanto, nell'universo culturale in esse dato per acquisito, e quindi percepito come tale dal giovane spettatore, tutti i valori conquistati da decenni di lotte per i diritti dei lavoratori delle donne e dei cittadini in genere siano azzerati, in favore di un modello retrogrado che da essi prescinde. Gli esempi sono infiniti, ne prendo solo due macroscopici: il concetto di "amore" pseudoromantico prefemminista neofamilista, e l'immagine della donna.
Tutto ciò ha conseguenze molto più gravi di quanto si immagini. A chi vuole averne un'idea precisa rimando come spesso mi capita a un bellissimo pezzo di Carlo Bertani, ma io la mia la dico così: chi oggi sta sulla cinquantina ha avuto nonni quasi sempre poco scolarizzati e lavoratori della terra o delle fabbriche o comunque duri che però pur avendo attraversato due guerre si attendevano che i loro figli arrivassero a una posizione sociale più elevata della loro, e genitori diplomati o raramente laureati che infatti poterono fare carriera in un posto fisso magari pubblico continuando ad attendersi dai loro figli che arrivassero a una posizione sociale più elevata della loro; così noi quarantenni e cinquantenni siamo in parecchi laureati, qualcuno con reddito fisso qualcuno già no, ma chi ha un figlio spera soltanto che possa avere un lavoro sicuro purchessia. In altre parole, la mobilità sociale verticale per merito è una realtà storica effimera collegata al grado effettivo di democratizzazione di una società: in Italia è infatti cresciuta per pochi decenni, precipitando negli ultimi 20 anni. Il problema è che proprio la pervasiva organizzazione familistica italiana ha fin'ora tappato i buchi di una progettualità sociale colabrodo: se ad esempio le generazioni precedenti alla mia hanno potuto comprarsi casa con i propri redditi e risparmi, la mia e ancora di più quella subito dopo hanno potuto farlo solo se aiutati dai genitori, i ragazzi di oggi riescono a sopravvivere - anche quando lavorano - grazie al sostegno, economico e di welfare, dei loro genitori, ma già la mia generazione per non parlare di quelle successive non sarà in grado di fornire questo stesso sostegno ai figli. La mia pensione basterà a stento per il mio sostentamento, forse; di sicuro chi ha oggi meno di 35 anni probabilmente non avrà una pensione degna di questo nome, se ne avrà una. E non ci sarà nessuno stato sociale a sostenere così tante persone con reddito insufficiente. Queste previsioni apocalittiche verranno smentite solo a patto di cambiare radicalmente politica, a proposito ad esempio di welfare decrescita immigrazione, ma non c'è oggi nemmeno all'orizzonte una forza politica in grado di rappresentare significativamente una simile istanza, e anzi - visto il livello di riproduzione sociale di cui parlavamo - non ha sufficiente peso nemmeno l'istanza stessa.
Sabato scorso, a Reggio Calabria, la manifestazione contro la mafia è andata praticamente deserta, e quasi nessun reggino era tra i pochi presenti, giunti dal resto della Calabria o dall'altra sponda dello stretto. Ah già, c'era la partita della Reggina, che poi ha riperso in casa e sta miseramente finendo in serie C, categoria peraltro più confacente a quella qui appartiene la città, a dispetto dell'etichetta di "metropolitana" che gli hanno attaccato sopra con la saliva per raccattare un altro po' di soldi da spartirsi. Stiamo parlando di una città che 40 anni fa è stata in grado di sollevarsi all'unisono contro il sopruso, anche se poi quella lotta è stata strumentalizzata da una parte, per colpevole distrazione dell'altra, oggi sodale coi ladri che una volta si vantava di combattere. Che tristezza, vado a rileggermi la tesi di laurea: quei ragazzi che intervistai allora oggi sono quarantenni, magari ci capisco qualcosa...

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