venerdì 15 giugno 2012

SAN NICOLA

Il giudice Gratteri e la sua scorta
davanti al Tribunale di Reggio
Il concentramento per la promozione in Adil della Viola Basket non è l'unico appuntamento che conta di questo finesettimana per i reggini. Domenica 17 giugno alle ore 18 parte da piazza Castello, infatti, una sfilata  "in fila indiana" che si concluderà al CEDIR, sede tra l'altro del Tribunale: la manifestazione, organizzata dall'associazione Reggio Non Tace, intende dimostrare il sostegno della società civile reggina ad uno dei suoi figli più coraggiosi, il giudice Nicola Gratteri, da una vita in prima linea contro la ndrangheta, che si è scoperto avere in fase avanzata un progetto di attentato contro il magistrato.
Se la solidarietà di piazza potesse fare davvero da scudo agli "eroi della società civile" Beppe Grillo non avrebbe la lista dei "santi laici" a cui attingere per i suoi calendari, ma d'altronde fare il vuoto attorno a un personaggio scomodo è il primo step del metodo mafioso verso la sua eliminazione dalla scena e se non basta fisica, e questo lo sanno prima di tutto i personaggi scomodi stessi: è questa la ragione per cui l'abbraccio a Gratteri per chi vive a Reggio ed ha a cuore le sorti della sua disgraziata città è un obbligo morale e civico, che per chi vive fuori si traduce in "fai quello che puoi, anche solo un po' di passaparola...". Eccolo.
...
Sulla storia di Reggio negli ultimi decenni vi rimando a questo post di qualche tempo fa; questi gli "aggiornamenti".
Lasciato il Comune, dove era stato eletto e rieletto con un consenso bulgaro (inspiegabile visto il precedente largo consenso dello scomparso predecessore, della fazione opposta, se non ricorrendo a categorie sociopolitiche tipicamente italiche che al sud si esprimono al meglio), per la Regione, pian pianino trapela una cosa che già ai suoi tempi i reggini sapevano, specie i creditori: le casse comunali sono vuote. In perfetto stile italico, Peppe scarica tutta la responsabilità su un suo alto funzionario, che si suicida in circostanze perlomeno strane (la sera prima di un appuntamento che lei stessa aveva dato alla stampa, ingerendo dell'acido che non le brucia le labbra e non le impedisce di telefonare chiedendo aiuto). L'archiviazione del caso non impedisce che il giornalismo d'inchiesta continui ad analizzarlo, e che i giudici contabili continuino ad indagare, scoprendo che in pratica Reggio è in bancarotta. Per chi ha pazienza qui c'è l'inchiesta de L'espresso, da integrare con la notizia della richiesta di rinvio a giudizio per Scopelliti, per un buco che ammonterebbe a 87 milioni di euro, per chi non ne ha ricordo soltanto che in città si pagavano profumatamente celebrità per passeggiare sul lungomare e si spendevano milioni per opere di facciata (e alto sfrido) mentre la gestione dell'ordinario già a due passi dal centro restava abbandonata. A crisi conclamata, il nuovo sindaco erede designato ha dovuto smettere anche di curare la "facciata", abbandonando anche i circenses estivi e la promozione turistica (leggi qui il caso-Bronzi). La ndrangheta intanto, orfana (spera momentaneamente) del Ponte, prospera nei soliti traffici, grandi appalti in testa.
E' o non è in fondo la quintessenza dell'Italia? Non per nulla furono proprio le sponde reggine ad avere per primo questo nome...
La battuta di Grillo sulla politica peggio della mafia, infatti, non è da giudicare pessima per la ragione per cui tutti l'hanno stigmatizzata, che potremmo sintetizzare con "non si scherza con certe cose ragazzo", bensì per quella opposta: introduce una distinzione che troppo spesso nella pratica è inesistente, sia a livello sintattico dei comportamenti che purtroppo anche a livello materiale. In altre parole: a livello sintattico la classe politica si comporta spesso come una mafia, a livello materiale la classe politica coincide in parte significativa con la mafia. Non è necessario lanciare nuove ipotesi da verificare, per averne conferma: basta leggersi gli atti giudiziari, senza fidarsi dei mass-media. Si scopre così che è verità giudiziaria la contiguità e l'organicità di Giulio Andreotti con la mafia fino a una certa data, mentre da quella data in poi le prove sono state giudicate insufficienti: chi vi ha detto che è stato assolto, vi ha mentito. Stessa cosa, più recente, per il caso Dell'Utri: è vero che la sentenza della cassazione ha annullato la sentenza di appello che aveva confermato la condanna di primo grado per associazione mafiosa, ma la sentenza di rinvio non mette in discussione la verità giudiziaria di contiguità e organicità del senatore bibliofilo con Cosa nostra. E stiamo citando solo due casi macroscopici, tra millanta esempi minori e un sottofondo di mentalità diffuse. Se e quando si potrà scrivere la storia italiana per come è davvero stata, in estrema sintesi si potrà dire che il sistema dei partiti della cosiddetta Prima Repubblica aveva uno dei suoi più forti canali di consenso nel sostegno della criminalità organizzata, e la cosiddetta Seconda Repubblica è nata proprio per ripristinare quel canale che evidentemente per la mafia è un cordone ombelicale, con la stagione delle stragi in mezzo a testimoniarne la temporanea interruzione.
Questa estrema sintesi, per quanto grossolana e rozza, è sufficiente per spiegarci perché finora ci sono state resistenze all'unione politica europea: siamo portatori di un cancro (che fra l'altro spiega da solo - con tutto il giro di tangenti e sprechi che comporta - tutto il nostro debito pubblico, anche due o tre volte) così potente da attecchire in altri Stati sovrani, figurarsi all'interno dello stesso. E i tedeschi lo sanno: credono mica a Babbo Natale, lo sanno che è San Nicola in tedesco...

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